
La nascita è un tema profondamente filosofico. Martin Heidegger, uno dei grandi pensatori del Novecento, riflette sul significato esistenziale della nascita e dei nuovi inizi. Per il filosofo, l’essere umano è caratterizzato dalla “gettatezza” (Geworfenheit): veniamo al mondo senza averlo scelto, immersi in un contesto storico, sociale e culturale che ci condiziona, ma non ci descrive completamente. La nascita è dunque l’atto di “gettarsi nel mondo”, qualcosa che ci permette di costruire la nostra esistenza. Ciò che rende questa visione affascinante è il modo in cui Heidegger collega il concetto di nascita alla possibilità di un rinnovamento continuo. La nostra esistenza non è un qualcosa di statico: siamo soggetti al tempo, esseri che vivono in esso e per i quali ogni momento può rappresentare un nuovo inizio. Se è vero che non possiamo scegliere la nostra nascita, possiamo però scegliere come vivere. Heidegger ci invita a riflettere sul valore del presente: spesso siamo talmente tormentati dal passato o proiettati nel futuro da dimenticare che ogni istante è un’occasione per rinascere. Il tempo, per Heidegger, non è solo un susseguirsi di momenti, ma un’opportunità continua di ridefinire chi siamo. Ogni cambiamento può essere vissuto come un “atto di nascita”, una possibilità di iniziare qualcosa di nuovo, cambiare anche un solo ed insignificante dettaglio che ci permette di proseguire al meglio la nostra vita. Questa prospettiva si ritrova anche nella teoria di Hannah Arendt, la quale ha approfondito il concetto di nascita come inizio radicale. Per la Arendt, ogni nuova nascita rappresenta la possibilità di portare qualcosa di completamente nuovo nel mondo, un atto di libertà che caratterizza l’essere umano. Anche Eraclito, nella sua idea di Panta Rei (“tutto scorre”), sottolinea la continuità tra fine e nuovo inizio, concetto che si può collegare all’idea di Heidegger di rinascita costante.