
Sin dagli inizi della civiltà musica e poesia sono sempre state difficili da separare. In età classica erano spesso pensate come una realtà unica; nelle ricche corti greche i poemi di Omero e i versi di Saffo erano cantati da rapsodi e aedi, di solito accompagnati dagli strumenti dell’epoca. Non a caso i componimenti più intimi e introspettivi erano quelli appartenenti al genere lirico, letteralmente “che si accompagna
con la lira”. Con il tempo le due forme d’arte si sono sempre più distinte, ma sono molti gli aspetti rimasti in comune. La corrente musicale che più ricorda la poesia, sia per la tipica ritmicità che per
l’uso frequente di rime, è il rap.
Nato nel quartiere del Bronx di New York, tra sentimenti di rabbia e ribellione, secondo alcuni “non è musica”, figurarsi poesia; eppure sono molti i rapper ad aver ricevuto riconoscimenti letterari. L’esempio più eclatante è Kendrick Lamar, che nel 2018 ha vinto il premio Pulitzer per il suo album “DAMN”, critica al razzismo e indagine dell’identità afroamericana. Da James Baldwin e Toni Morrison ai poeti della Beat Generation sono innumerevoli gli scrittori ad aver ugualmente criticato le dinamiche sociali in America, che ancora oggi, a 60 anni dall’abolizione della segregazione, rimangono profondamente razziste. L’intero genere è tipicamente politico, essendolo anche il contesto in cui è nato; così è stato introdotto anche in Italia, da artisti come Frankie hi-nrg mc. Con testi che variano dall’impegno sociale al profano, l’immediatezza del rap ha permesso la sua diffusione senza limiti e, tra gli sguardi crucciati delle
generazioni passate, un indubbio amore da parte dei giovani. Può piacere o meno, ma è inutile negarlo: il rap non è solo parolacce e violenza, ma la più sincera forma di poesia moderna.